Lou Gehrig

| F. M.

Nelle lacrime garbate di Ruud Gullit, versate allo stadio Franchi di Firenze la sera del 8 Ottobre 2008, mentre saluta l’amico ed ex compagno di squadra Stefano Borgonovo, si vede tutta la tristezza e lo sgomento nell’assistere a qualcosa che non si sarebbe mai potuto immaginare. Borgonovo, ex attaccante di Como, Milan e Fiorentina, costretto su una sedia a rotelle da un male, per ora, incurabile, viene accompagnato da Roberto Baggio al centro del campo. Può salutare i tifosi di Firenze ed i giocatori di Milan e Fiorentina che, di li a poco, daranno vita ad una amichevole per raccogliere fondi a favore della ricerca medica. La Sclerosi Laterale Amiotrofica, una malattia scoperta in Francia nell’Ottocento che, tanto crudele quanto implacabile, provoca la deformazione della parte laterale del midollo spinale distruggendo le cellule nervose dedicate alla stimolazione dei muscoli, generando così una progressiva atrofia della totalità dei muscoli del corpo. Una malattia che ebbe tra le sue vittime anche Mao Tse Tung e David Niven, ma “La Stronza”, come la definisce lo stesso Borgonovo, è comunemente conosciuta come Morbo di Gehrig.

La lunga corsa di Iron Horse

Il 4 Luglio 1939, davanti a oltre 62.000 tifosi radunati sugli spalti dello Yankee Stadium di New York, Lou Gehrig da l’addio al baseball con una cerimonia che prevede, per la prima volta nella storia, il ritiro della maglia di un giocatore da parte della propria squadra di appartenenza. La gloriosa maglia numero 4 dei New York Yankees, indossata negli ultimi 13 anni da Gehrig, non sarà portata più da nessun altro giocatore su un diamante. Durante il discorso d’addio e di ringraziamento, un commosso Gehrig, con il fisico già minato dai sintomi della malattia che porterà il suo nome, dice :

“Sapete ormai che per me è un brutto momento, ma voglio dirvi che oggi mi considero l’uomo più fortunato del mondo. Non ho avuto che bene dalla vita. Grazie”

Queste parole, pronunciate da un atleta al termine della carriera e che sta entrando in un penoso quanto malevolo tunnel dicono molto sul suo carattere di uomo tranquillo e gentile. Lo stadio esplode letteralmente in un fragorosissimo applauso.
Ludwig Heinrich Gehrig nasce a New York il 19 Giugno 1903 da Heinrich e Christine Gehrig che lasciarono la Germania per emigrare nelgli Stati Uniti dove si conobbero e si sposarono nel 1900. La famiglia Gehrig vive a Manhattan, precisamente nell’Upper East Side dove vivono molti immigrati Tedeschi ed Ungheresi. La povertà e le conseguenti condizioni di vita imperanti agli albori del secolo scorso mietono molte vittime. Un altissimo tasso di mortalità infantile. Mortalità infantile che strappa alla famiglia Gehrig ben tre dei suoi quattro figli. Ludwig, chiamato da sempre Lou, è l’unico, tra i fratelli, a rimanere in vita. Christine lavora fino a spaccarsi la schiena come lavandaia, cuoca e donna delle pulizie. La signora Gehrig ha un solo grande sogno: vedere l’ormai unico figlio diventare ingegnere. Il signor Heinrich, invece, non è molto fortunato con il lavoro, anche a causa di condizioni di salute sempre precarie, è spesso disoccupato. A diciassette anni Lou Gehrig è il tipico ragazzone alto e forte Americano, eccelle in tutti gli sport che pratica ma, per quanto riguarda lo studio, non è particolarmente dotato. Nel 1921 grazie ad una borsa di studio per il Football, suo primo sport, riesce ad approdare alla Columbia University per cercare di conseguire la laurea in ingenieria e trasformare così il sogno della madre in realtà. Durante il suo primo anno di università, con il falso nome di Henry Lewis, partecipa ai campionati di baseball estivi per professionisti, severamente vietati agli studenti. Nonostante il fantasioso nome che si era dato e, soprattutto, nonostante lo sport fosse diverso dal suo abituale, viene scoperto e squalificato da tutti i tornei sportivi interuniversitari. Quando viene riammesso alle gare si divide tra football e baseball fino a quando, nel 1923, Paul Krichell, un talent scout per il baseball, lo nota e lo segnala ai New York Yankees. La sua via è orami tracciata, il baseball sarà il suo sport.
Nel 1925 viene ingaggiato dagli Yenkees per sostituire Wally Pipp in prima base. Lou Gehrig non salterà mai una partita per i successivi 13 anni, stabilendo il record di gare consecutive disputate, ben 2130. Record che verrà battuto solo nel 1995 da Carl Ripken dei Baltimora Orioles. Nei 13 anni di carriera negli Yenkees, partita dopo partita, il giovane Lou si guadagna il soprannome di “Iron Horse”, il Cavallo di Ferro che scendeva in campo sempre, anche con una mano fratturata. In quei 13 anni di corse per i diamanti degli Stati Uniti , di lanci e di battute le sue mani e le sue dita si fratturarono parecchie volte ma sempre riusciva a scendere in campo per il match successivo.
E venne la stagione del ’39. Gehrig aveva trentasei anni, ormai, ma questo non spiegava a sufficienza un suo visibile calo nel campionato precedente. Un “bunt” contro Boston ( un bunt è una battuta debole appoggiata volontariamente vicino al piatto, mai usata dai battitori potenti e temibili ), un’errore in prima base contro Chicago e  il suo essere lento e impacciato nelle prime partite di campionato fecero cominciare in molti  a pensare che qualcosa non stesse andando bene per Gehrig. Cose troppo diverse dallo standard di Iron Horse.  Cominciava anche ad essere seriamente debole in battuta, l’ultima risorsa dei campioni in declino. I fans erano in ansia, i compagni lo aiutavano, lui era desolato e senza una spiegazione per la sua fragilità, in imbarazzo con la squadra e con i tifosi.
Il 2 maggio 1939, quando lo speaker del Briggs Stadium di Detroit annunciò le formazioni, con lo stupore di tutti, in prima base non venne annunciato Lou Gehrig ma Babe Dahlgren in sua sostituzione.
Per la prima volta in 13 anni un altro. Lo stesso Lou aveva chiesto di stare fuori. Come capitano però entrò in campo per consegnare l’ordine di battuta all’arbitro, dodicimila persone si alzarono in piedi sugli spalti e iniziarono ad applaudire. Una standing ovation di due minuti che aveva tanto il sapore aspro di un saluto.
Lou Gehrig non giocò mai più una partita di campionato.
Un mese dopo entrò in clinica dove gli fu diagnosticata la Sclerosi Laterale Amiotrofica. Da allora Morbo di Gehrig.

Iron Horse passò gli ultimi mesi della sua vita con un impiego assegnatogli dalla città di New York, come responsabile per la concessione della libertà sulla parola ai detenuti. Tornerà in campo ancora una volta, non per giocare, ma per il suo sopracitato discorso d’addio.
Tutto poi sarebbe stato ripetuto da Gary Cooper nel film,  L’idolo delle folle , dove,  per rendere il protagonista mancino,come il suo personaggio, le scene vennero montate capovolte dopo avergli fatto indossare una divisa con nome e numero rovesciati e averlo fatto correre in terza base anziché in prima.
Lou Gehrig , il più grande prima base della storia del baseball, detiene ancora oggi il maggior numero di Grand Slam vinti, 23, e molti altri primati.

Morì a 39 anni, il 2 Giugno 1941.

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